Un gioco di inganni

Manlio Sgalambro in La Sicilia, 20 gennaio 1990, p. 3

Meditazioni provinciali

Libri
Le sensazioni che si partono dai libri non hanno l’uguale. Esse scivolano come su un piano levigato ed invitano per cenni ad entrare. Si apre l’altare di Dio. Si faccia avanti il puro. Ma questa verginità immacolata, che si legò a suo tempo al libro, è oggi percorsa da mille impudicizie che si consumano con residua vergogna in angoli oscuri. Note di lavandaia, furono detti da un devoto dello spirito; ma anche lui non scherzava, il buon Walter Rathenau. La delicata composizione, che auspicava Novalis, un intrigo di note e concetti fatto per una specie superiore, cade nel più triviale. Vi si trovano invece i bassi istinti della canaglia, che del resto vi si dovrà rispecchiare. Non possiamo farci nulla. Chi scrive ancora ne ha per poco. I diritti della comunicazione si affermano imperiosi. La chiarezza invocata distrugge il mistero della scrittura.

In memoria di Ipazia
«Affrettiamoci a rendere la nostra filosofia popolare»: che orrendo disegno, questo di Diderot! Ad esso dobbiamo l’imbarbarimento di una disciplina che, assieme alla matematica, resisteva agli assalti del volgo, di quello stesso che trucidò Ipazia nel marzo del 415. Bisogna invece renderla difficile, e se lo è, ancora più difficile.

Inganno
Non possiamo evitare di guardare quei colori smaglianti, che afferrano i nostri nervi e li fanno vibrare e che certamente sono lì per adescarci.
A volte sembra che siamo ingannati e che ci sia perciò un Ingannatore. Un’ipotesi con cui si gingillò Descartes.
I tenui colori di un tramonto, o la beata sensazione di essere eterni, tutto cospira e noi traiamo da lì la stanca energia con cui continuare. Ebbene, sia pure un inganno, un crudele giuoco, lo spasso di un gran Qualcuno, tuttavia ancora, ancora, ancora…

Imparare a conoscere
Dal Dell’esercizio di Musonio Rufo trai, o Colotuccio, quanto occorre per abituarti al freddo e alla fame. Poi avvezzati da te, coi tuoi mezzi, a conoscere. Comincia da un filo d’erba per arrivare a un granello di sabbia.
Descrivi quest’ultimo per anni. Dopo, ti giuro, sarai in grado di conoscere anche te.

Passeggiata di sera
Ci avviamo, come al solito. Il buio ci nasconde. Non fa vedere i pensieri stampati sul volto.
Il mostro può andare tranquillo. Il capo basso, gli occhi che guardano attraverso le dure ombre delle pupille.
È come se camminasse su un filo o attraverso dirupi e aspri sentieri, ma spedito è il suo passo e sicuro.
Che pensa? Cosa, stasera, appagherà il suo vizio? A chi tocca? Abbandonato a questo piacere – quasi languido, a dire di Seneca, come ogni piacere del saggio – egli è felice.

Aporie dell’agire
Là dove un’azione si incontra con altre che provengono da agenti diversi e si incrocia con queste, essa si muta in tutt’altro.
Soltanto i concetti sussidiari di responsabilità, di colpa, eccetera, escogitati per tentare di isolare il risultato di un’azione dall’agente, nei casi più gravi, fermano appena i controeffetti del fare sull’individuo allibito.
Il fatto che quasi sempre non ci si riconosca nelle proprie azioni aiuta non poco a chiarirsi le idee.

Il salto
Ciò che fa superare lo hiatus che divide un individuo dall’altro e induce alla contemplazione morale anche del più malvagio, è il fatto che egli morrà.
Non c’è niente più di questo che possa fare attuare il salto che porta direttamente all’altro.
Il bene che possiamo fargli è solo volere che egli non muoia.
La volontà «pura» che un altro non muoia è ciò che si chiama, molto impropriamente, la volontà buona.