Manlio Sgalambro in La Sicilia, 18 novembre 1989, p. 3
Meditazioni provinciali
Troveremo nella matematica requie per la nostra quotidiana miseria? Sfogliamo con acuto desiderio Apologia di un matematico di Godfrey H. Hardy (edito da Garzanti, 1989). Seguiamo lo sguardo candido di quest’uomo, l’infantile sicurezza di chi sa trovare l’uscita anche in un fitto bosco. «Le forme create dal matematico… devono essere belle». Che la matematica pura appartenga al dominio controllato dall’estetica – la bellezza – ciò ci conduce fuori dalle estetiche attardate che seguono come mute di cani il poetico, solo il poetico. Ciò che Whitehead chiamò al riguardo «superstizione letteraria» non trova perdono agli occhi di Hardy per cui la rilevanza estetica della matematica si coglie assieme alla sua beata purezza. Ma quel che noi chiediamo anche ad essa è un quietivo per la volontà. Ci purifica dalle passioni che il giorno ci mette in corpo assieme all’inquietudine di vivere a qualsiasi costo? Contempliamo un teorema: chi ci raggiungerà in quel punto? È come se fossimo fatti di matematica anche noi. Per un momento guardiamo le cose del mondo dal punto da cui si suppone le guarderebbe un Dio.
Hardy ritenne sempre che la matematica pura fosse immune da colpe. Ciò che la scienza, aiutata dalla matematica applicata, aveva potuto fare di bieco, non sfiorava la matematica pura. Ciò non è ben chiaro al profano ma anche la sua purezza è piuttosto oscura. «La massa delle verità matematiche si impone in tutta la sua evidenza, e le sue applicazioni pratiche, dai ponti alle macchine a vapore, alle dinamo, colpiscono anche l’immaginazione più ottusa. La gente non ha bisogno di essere convinta della validità della matematica. In un certo senso tutto questo è di grande conforto per i matematici, ma un vero matematico difficilmente ne sarà soddisfatto. Egli infatti sente che la ragione d’essere della matematica non si trova in queste rozze realizzazioni».
Ma possiamo condividere questo passo della lezione inaugurale che Hardy tenne a Oxford nel 1920? «Lo studio della matematica è un’occupazione forse inutile, ma assolutamente innocua e innocente». Già in questa sua funzione di quietivo, a cui l’abbiamo chiamata, essa perde la sua innocenza per strada. A che ci abbracceremmo in questo desiderio di pace se non a ciò che in qualche modo partecipa dei nostri turbamenti? Quale compagnia chiederemmo ad essa se non fossimo dello stesso stampo? Le delicate costruzioni della matematica pura non sono inerti oggetti come i ponti che costruisce la matematica applicata, ma vibrano delle passioni di cui noi ci liberiamo. E se essa mostrasse veramente l’essere delle cose come non ne condividerebbe l’inganno? Ma d’altra parte la vera scienza si è mai mossa per il bene dell’umanità? In ogni caso, come Hardy ci conferma, non è questa l’aspirazione della matematica pura. «Se un matematico, un chimico, o anche un fisiologo, mi dicessero che la forza trainante del loro lavoro è stato il desiderio di contribuire al bene dell’umanità, io non vi crederei».Ma non dobbiamo indulgere oltre sulla bonomia della matematica che Hardy sembra avallare. La matematica è figlia della disperazione. Il gelo dei numeri mentre svela che il mondo ci è ostinatamente estraneo, mette a nudo le radici della nostra disperazione. Ma nello stesso tempo ci consegna alla contemplazione della loro bellezza. L’ordine maligno si lascia ugualmente ammirare. Hardy invece ne parla con la fiducia di un antico credente e ne conserva l’infantile piacere. In lui la matematica rasenta il giuoco. Ciò fu poi preso delittuosamente sul serio.
Ma infine, chiediamoci, c’è una realtà matematica? Una realtà che sia tale, come il cielo, il giorno e la notte, i terremoti e le eclissi? O essa è solo mentale? Hardy segue il principio dogmatico di una realtà matematica “fuori” di noi: «Credo che la realtà matematica sia fuori di noi, che il nostro compito sia di scoprirla o di osservarla, e che i teoremi che noi dimostriamo, qualificandoli pomposamente come nostre “creazioni” siano semplicemente annotazioni delle nostre osservazioni». Ma il numero è tutto ciò che resta dopo che la realtà è messa tra parentesi. Essa infatti ci è restituita ora solo alla contemplazione. Come purificata. Dopo che la furia della matematica è passata sulle cose, per un istante anche il peso del vivere è scomparso.