Manlio Sgalambro in La Sicilia, 23 settembre 1988, p. 3
Meditazioni provinciali
L’infermità nervosa è legata all’esistenza opaca e massiccia del mondo. Mentre per lo più oggi la malattia viene desostanzializzata e vi si constata solo un ruolo all’interno di un sistema di ruoli – essere ammalati è un ruolo come un altro dice ad esempio Parsons – sappiamo dopo Freud che la malattia è il trauma stesso dell’esistenza del mondo. La scena traumatica, infatti, è l’accorgersi violento di essere nati, di essere in un mondo. «Nevrosi e psicosi – secondo l’insegnamento di Freud – sono tutte e due l’espressione della ribellione dell’Es contro il mondo esterno, della sua sofferenza, della sua poca disponibilità ad adattarsi alla necessità, all’Ananke». L’infermità nervosa è dunque un modo di negare il mondo. Nevrosi e psicosi sono una modalità del nulla desiderato.
Questa è la grandiosa eredità teorica di Freud. La terapia è invece la sua pia fraus. La malattia che Freud si propone di guarire è, nientemeno, la stessa esistenza dell’universo. La terapia in effetti si autodenuncia come aggiunta pretestuosa, come l’insanità stessa della «pratica».
L’appello terapeutico non può salvare dalla malattia dell’universo. La psicoterapia fallisce perché essa non può guarire dall’esistenza del mondo. L’adattamento alla società è il misero resto di una impresa disperata che mantiene intatto il sostanziale inadattamento. Si tratterebbe invece di lasciare che nel malato esplodano tutte le potenzialità ed egli raggiunga pienamente quella negazione del mondo che infine lo appaga.
Ma nella terapia v’è insito il principio del valore affermativo del vivere in fede di cui il terapeuta contemporaneo ha mano libera. Egli non ha sentito parlare di una salvezza attraverso la negazione. Forse una terapia quietistica potrebbe ancora legittimarsi ma non ce n’è altro che un presentimento. Riconsegnare al mondo la sua vittima è il fine occulto della psicoterapia che sta dalla parte del carnefice. Non c’è “io” che narcisistico ma Narciso non può vivere che di se stesso. Dal suo punto di vista la guarigione è il malanno. L’ethos che sta sulla soglia gli indica l’altra strada. Naufragare nella propria malattia.