Dell’amore

Manlio Sgalambro in La Sicilia, 18 marzo 1989, p. 3

Meditazioni provinciali

Questo strano sentimento segna pesantemente la sorte dell’uomo occidentale. Distoglie l’attenzione che si dovrebbe a sé per dedicarla a un altro. Esclude dall’infinito e dall’ordine della mente. In realtà l’idea dell’amore, o la stima per questo sentimento, è il peso che portiamo sulla nostra intelligenza. Il ricatto della vita. Non subiamo soltanto, ma celebriamo questa passione. Essa sarebbe il migliore retaggio della civiltà. Inaudito.
La monaca portoghese Mariana Alcoforado scrive a chi l’ha sedotta: «Vi ringrazio dal profondo del cuore della disperazione in cui mi avete gettata, e disprezzo la pace in cui vivevo prima di avermi conosciuto… Addio! Amatemi dunque sempre, fatemi soffrire dolori ancora peggiori». Non è dunque nel badare a se stessi, nel costruire all’infinito la propria individualità, nel perfezionare un’opera, l’acme della civiltà, ma nel dare in escandescenze per un altro, misera copia di se stessi! Noi non possiamo contestare questa passione, ma che essa non faccia parte dell’idea di uomo, sì. Cos’è amare? Volere che un dato essere ci sia. Nella massa degli esseri umani eleggerne uno e gettare gli altri nella gehenna. Già questo contraddice l’idea di universalità in cui ci riconosciamo meglio. Amare è già dunque questo delitto. Salvarne uno tra tutti.
Ascoltiamo Ortega: «Amar una cosa es estar empeñado en que exista, non admitir… la posibilidad de un universo donde aquel objeto esté ausente. Pero nótese que esto viene a ser lo mismo que estarle continuamente dando vida… Amar es vivificación, perenne, creación y conservación intencional de lo amado». Nello stesso momento è come se condannassimo gli altri all’inesistenza.
Il piccolo borghese non vede al di là di quell’altro che ha scelto. L’amore è la sua unica virtù; egli se ne intende. Quella di Don Giovanni è l’idea carnale di un amore illimitato, esteso a ogni donna. Casanova che si innamora di tutte le donne, oltrepassa l’avarizia spirituale del piccolo borghese che mette in banca il «tesoro» dei suoi affetti: moglie e figli. Ma è proprio l’elezione, nell’amore, a dare ad esso, nello stesso tempo, la patina dell’atto sublime e la sostanza di ciò che è effettivamente. Anzitutto, come avviene la scelta? In conformità al ruolo prevaricante che l’amore ha assunto, si sogliono scoprirvi motivi profondi. La psicologia dell’eros guazza nel «profondo» o nel vuoto. Invero la superficialità domina sovrana. Un tocco di trucco, il colore dei capelli, un vestito, la curva del naso: tutto ciò è noto.
Intorno all’amore ruotano industrie. Questo bell’atto non ha nel sesso il suo mistero, appreso una volta con mille brividi e la puzza sotto il naso, ma in queste misere cose. Studiate l’arte di vestire, di darvi il trucco, gestite bene la vostra voce e le vostre gambe e voilà. Sotto l’amore si cela il vuoto. Tutte le donne son buone per l’uomo e viceversa. Ma allora, la scelta? Da che si è attratti? O, come dice il poeta, «Warum sich’s liebt und küsst?», «Perché ci si ama e ci si bacia?». Cosa risponde la saggezza?
Chamfort afferma: «Quando un uomo e una donna hanno l’uno per l’altro violenta passione mi sembra sempre che quali che siano gli ostacoli che li separano – un marito, i genitori, eccetera – i due amanti appartengono l’uno all’altra, per Natura, per diritto divino…». Niente del tutto.
Oggi la sostituibilità illimitata dei partner mostra benissimo l’inesistenza di una risposta che oltrepassi la boutique e il coiffeur. Ciò che unisce quei due appartiene all’ordine del futile. Le due grandi potenze d’unione – il sesso e il denaro – sembrano in difficoltà davanti ai vana et futilia. Che vuol dire «ti amo perché sei bello»? Per il tuo naso, per la tua bocca, per le gambe affusolate; o lui, per i tuoi seni, per i tuoi fianchi, o, più sommesso, per il tuo piedino. Il mistero della scelta amorosa si svela in un baleno. In realtà, nell’amore, l’uomo e la donna sono ciò che appaiono.
È tipico di questo sentimento nutrirsi di ninnoli.
Ma la cosa più grave è che nella scelta di uno tutti gli altri siano esclusi. Ciò dice su cosa si basa questo sentimento che non si descrive mai senza lodarlo. In realtà, in esso si apre, alla vista, un pauroso abisso. L’amore contraddice all’universalità su cui si fonda il migliore sentimento dell’altro: la compassione. Ma non c’è scampo. Mentre l’amore dell’uomo è vacuo, l’amore di un uomo è cieco.
Noi ne parliamo come se questo sentimento fosse necessario e avesse sede nella sempiterna natura umana, non in una contingenza insinuatasi in essa come il verme nel frutto. Dalla storia dell’amore apprendiamo tutt’altro. Apprendiamo che esso nacque con l’ideologia cristiana e che può morire.
E se invece vi fosse un Eros, una Venere cosmica? Se la forza infusa alle cose derivasse da questo maligno principio? Resterebbe immutato il disprezzo.
Ciò che sappiamo dal quarto libro del De rerum natura resta, su per giù, l’insuperabile quadro in cui sentimenti e passioni d’amore trovano la loro scienza. E che la Venus vulgivaga, la Venere vagante, possa porre rimedio al male d’amore – un piacere senza dolore, pura voluptas – restituisce la visione dell’atto venereo senza amore come fattispecie. Ci uniremo senza amore: questo ci pare di vedere sbirciando oltre.
Questo sentimento contraddittorio sa dunque di caverna; si intravede la clava. Se lo scopo della castità non è l’esercizio di una vuota virtù, che troverebbe grazia davanti a un Dio ma solo sorriso davanti a un uomo, bensì, com’è stato detto, persegue l’annientamento della specie, allora questo fine può essere più sicuramente raggiunto se affidato al piacere erotico il cui raffinamento sembra oltrepassasse, come inadeguato, il coito di tutti i giorni. S’intende che lo stesso amore è ormai lontano. I bagliori che manda il grembo femminile non evocano più il principio di nascita. La specie ormai vive di incidenti. L’aspetterebbero tristi giorni se una fine intrisa di piacere non fosse a portata di mano.