Manlio Sgalambro in La Sicilia, 11 giugno 1988, p. 3
Meditazioni provinciali
Ho un tale ricordo di Spinoza che quasi non sembra che egli mi appaio attraverso la spietata memoria. Questa mi terrorizza mescolando cosa a cosa e rendendo ancora più confuso ciò su cui tiranneggia. Ma, ombre di Meneceo e di Lucilio, non ho altro mezzo per rievocare ciò che egli è stato per me. La storia, dici? Che faccenda da camerieri! Rileggerne adesso l’opera? Ma non cadrò in questo imbroglio. È quello che è rimasto di lui in me per tutti questi anni che mi sta a cuore non ciò che alcuni giorni vi potrebbero aggiungere. Meglio dunque l’attenzione che gli prestammo e la sottomissione incondizionata dei nostri inizi. Eterno candidatus theologiæ gli devo crudeltà come la proterva insopprimibilità di Dio. Di esservi incatenato come Prometeo sulla cima del Caucaso, mentre questa nozione mi rode la mente. Ma le sue intenzioni erano pure. Sentivo e sperimentavo peraltro come non ci fosse distanza o differenza e potevo dire a me stesso «questo sei tu» ogni qualvolta egli mi tornava alla mente.
Ecco la sua prima dote: egli è come se non ci fosse mai stato. L’Ethica, perché è di questa che vogliamo sapere, è come se si fosse scritta da sé. Come se fosse l’opera di nessuno. Ma allora, mi chiederai, perché lo rammenti, perché anche tu mitologizzi? La nostra cattiva abitudine di unire a un’opera un nome, ecco la causa. La nostra ignoranza che le migliori tra esse sono superbamente increate. Che esse sembrino legarsi a un nome, è solo la nostra idolatria. Tutto ciò hai ragione di rimproverarmelo, di biasimare la mia leggerezza e l’incoerenza in cui mi dibatto.
A chi lo felicitava per una predica ben fatta, Lacordaire rispondeva: «Il diavolo me lo aveva detto prima di voi». La stessa risposta bisogna dare a chi semplicemente vi attribuisce una filosofia. Il diavolo ve lo aveva già detto. Il diavolo o l’orgoglio, come credete. Una vera filosofia, aggiungo, non è di nessuno. Come il rumore del mare che batte sugli scogli o il vento che scuote le cime degli alberi, una anonima voce che si lamenta quieta.
Per tanto tempo traemmo dalla Vita di Spinoza del Colerus energia per filosofare. Stabilivamo un parallelo con la sua vita secondo un ineguagliabile metodo, ma poi tremavamo di fronte a ciò a cui talvolta Colerus si spingeva. La luce che emanava da Spinoza, spiegava Colerus, non era meno della luce del sole. Sospettavamo che a quella similitudine avessero mano cielo e terra compiaciuti. Eppure c’è una ragione, meno fortuita, per cui non faremo mai a meno di pronunciarne il nome. Scomparendo davanti alla sua opera, in questo modo insidioso egli si legò ad essa per sempre. Dov’è infatti la traccia di quest’uomo nell’Ethica? Sapresti tu veramente indicarmi un punto in cui sia presente sia pure la sua ombra? Non ti sembra l’irrealtà il suo attributo? Ecco dunque cosa ha fatto Spinoza e la ragione per la quale dobbiamo assolutamente ricordarne il nome. Egli ha saputo fare in modo da non essere l’autore dell’Ethica. Ha fatto solo sì che un’Ethica ci fosse. È diverso.
Così è questo problema, non quello in cui si affanna la tradizionale filologia, proprio esso ad essere il nostro. Noi siamo d’accordo – non è vero? – che quest’uomo il quale cancellò letteralmente se stesso ha dunque bisogno di una memoria che insegua la sua fugace esistenza come una mura di cani. Ma che ne avremo alla fine? Un ghirigoro, un arabesco, un segno, sbiadito e mutilo, impresso su ciò che passa per «suo». Delle ossa spolpate. Potremmo definirlo, in due parole, il rovescio della «sua» opera.
Qualcuno ha detto che solo Dio avrebbe potuto scrivere l’Ethica. Costui sbagliò: nemmeno Dio. Infatti l’impossibilità per l’Ethica di essere scritta non è che la stessa impossibilità per il mondo di essere creato che l’Ethica dimostra. E allora com’è che quest’opera esiste? In che modo c’entra Spinoza? Disfacendosi di se stesso egli ci diede l’Ethica. Ciò è tutto il contrario che esserne stato l’autore. Per potere scrivere l’Ethica egli non doveva esistere. Dovremmo dire, se dovessimo essere più precisi, un tale Baruch Spinoza, che non esisté, scrisse l’Ethica. Per quanto, a dire il vero, io non vi veda niente di così strano, sarebbe però contrario a tutte le consuetudini e non riceverebbe l’approvazione dei benpensanti.
Convieni però che mentre tutti cominciano: Baruch Spinoza nacque ad Amsterdam (o forse altrove) il 24 novembre del 1632 (per la verità neppure questo è certo), e poi parlano dell’Ethica, convieni, dicevo, che essi fanno solo salotto. Bisognerebbe invece cominciare dalla sua morte e dall’inizio di questa. Bisognerebbe dire come fu che questo tal Spinoza un giorno del 1661 o ’62 cominciò a morire. Nel linguaggio approssimativo dei suoi storici, cominciò a scrivere l’Ethica. Approssimativo è anche il termine «scrivere» che essi usano senza pensarci. Sarai d’accordo con me che nel metodo geometrico tutto è simultaneo e perciò scrivere, d’essenza temporale, non può essere ciò che veramente avvenne. Anche «cominciò» può essere usato solo in forma apofatica. Otto definizioni e sette assiomi la aprono, quest’opera, come i battenti di un tempio per accogliere i fedeli. La mazza del cerimoniere batte tre colpi. Si comincia. Ma già c’è tutto. Ne dobbiamo cercare fuori di essa le sue prove. L’Ethica è prova a se stessa. Chi cerca al di fuori dell’Ethica la verità dell’Ethica – nella storia, nell’esperienza, nella ragione, in Spinoza stesso – costui non ha capito che essa è esclusivamente se stessa. Se è una filosofia, essa è una filosofia assolutamente chiusa: chi vi entra non può più uscirne. Ma la circostanza è puramente indicativa perché essa non è «una» ma «la» filosofia o meglio, essa è l’Ethica. La confluenza della realtà in un libro, di cui poi sognò Mallarmé, era già avvenuta.
Solo per gente come noi, volgare e dappoco, è necessario uno sviluppo com’è necessario il tempo (nozione tra le più infamanti); altrimenti sarebbe bastato dire solo Deus sive Mundus (come lo volse il vecchio Brucker di cui ci fidammo) e avremmo compreso, con il terzo genere di conoscenza, la pesantezza dell’essere, la nostra natura di modi, bollicine di poco conto nel desolato mare delle cose, la schiavitù delle passioni, la morte certa, la libertà del sapiente e che tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare. Tutto ciò, infatti – diciamo meglio tutta l’Ethica – è compreso dentro quelle tre parole. Solo per esseri travolti dall’immaginazione fu necessario che si traesse e pronunciasse, come per chi sa appena compitare o come per chi sa contare appena è indispensabile l’abaco.
Spinoza morì definitivamente il 21 febbraio del 1677. Non ci sorprende che nello stesso anno, qualche mese dopo, apparisse l’Ethica.