Salvatore Scalia in La Sicilia, 30 aprile 1983, p. 3
L’incontro con Manlio Sgalambro a Valverde
«La paura – ha detto il filosofo catanese – è un elemento rivelatore. Annulla l’immagine tranquillizzante del cosmo per ridare spessore alle cose». La dialettica inconciliabile tra fede e agnosticismo — La morte termica del sole
Valverde, 29 aprile
Accigliato nel suo aspetto severo e nella figura segaligna che fanno tutt’uno con il rigore della sua filosofia, Manlio Sgalambro è stato stanato dal rigido isolamento dei suoi studi. Il successo del suo unico libro, La morte del sole, l’ha reso un personaggio pubblico, uno di quelli a cui si può chiedere una dedica, prezioso cimelio da mostrare agli amici. Ma a strapparlo dall’isolamento ora c’è anche un intimo bisogno di dire, di comunicare la sua sapientia e di dibatterne. L’epoca del silenzio assoluto è finita. A dargli l’opportunità di un incontro con i lettori è stato il Gruppo teatro nuovo. Una cerimonia sbrigativa, senza fronzoli nella sala del municipio di Valverde giovedì sera, poi Manlio Sgalambro offerto come ghiotta preda alle domande indiscrete e polemiche del pubblico.
L’introduzione avrebbe dovuto farla il professore Eugenio Mazzarella, un giovane napoletano che insegna a Catania filosofia teoretica, ma è stato inchiodato a letto da una malattia. Egli è stato comunque presente in ispirito, avendo provveduto a inviare tempestivamente la sua relazione che è stata letta da Angelo Scandurra, l’animatore entusiasta del Gruppo teatro nuovo. Il testo di Mazzarella è entrato immediatamente in argomento e ha spiegato sinteticamente il significato de La morte del sole. «Dopo un’illusione di quattro secoli, che è l’illusione della scienza moderna, questa ripropone ciò da cui la filosofia era nata: il terrore cosmico, come esito ultimo del tentativo di sfuggirvi nella forma della gestione più sicura e certa del mondo. La morte termica dell’universo, con cui comincia a fare i conti la scienza su sollecitazione della termodinamica a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, diventa la cifra del vero esito della vicenda umana nel cosmo: nel lutto matematico, che tutto ricopre, risuona il nulla da cui questa era partita. Il dato conoscitivo ultimo offerto dalla scienza è solo una cifra di conferma dell’antica sapienza di un grande anno cosmico che spegnerà con sé tutte le cose».
Eppure, continua la relazione di Mazzarella, La morte del sole «non è un libro tragico perché al concetto di tragico appartiene non solo il momento sapienziale di negazione conoscitiva del senso del mondo – che, come sapeva Nietzsche, come totalità non è apprezzabile – bensì anche la risposta della vita a questa negazione sapienziale come ad ogni modo un vivere la vita, l’impressione in essa di una direzione, l’imposizione di un senso in itinere – la vita come negazione della negazione. Questa è la dialettica tragica, cui forse l’uomo quotidiano, di cui l’eroe è la maschera enfatica, è più vicino della semplice negazione sapienziale».
Conclusa la lettura della relazione di Mazzarella, gli attori Marina Cosentino e Turi Catanzaro hanno letto alcuni aforismi de La morte del sole. E, naturalmente, hanno scelto i più recitabili e recepibili dal pubblico, quelli in cui Sgalambro affonda il suo inflessibile rigore filosofico nei rapporti umani mediati dalla menzogna.
Finita la recita, il filosofo ha spiegato con un dotto excursus, partendo da Kant ha toccato un commento di Voltaire a Newton e infine è approdato alla seconda metà dell’Ottocento, i motivi ispiratori della sua opera. Egli, rispondendo polemicamente a Vittorio Saltini, critico dell’Espresso che gli ha rimproverato di preoccuparsi di un accadimento lontano milioni di anni, ha spiegato il valore filosofico della morte del sole: «La riflessione non è altro che cercare di anticipare il futuro. Riflettere significa prendere il proprio atteggiamento su ciò che deve accadere. È un problema di etica quotidiana. E in noi c’è una compassione irata perché comprendiamo che esiste tanta ferocia in noi stessi e negli altri, eppure con un gesto folle la compassione ci vincola al prossimo.
All’apertura del dibattito padre Corsaro ha acceso simpaticamente il fuoco della polemica: «La morte del sole è una sirena che seduce i naviganti e li fa naufragare, non c’è uno che non si lasci affascinare, tranne Ulisse che poi è lo stesso Omero. Così chi non muore è Manlio Sgalambro: canta ed è sordo, perché non vuol sentire. La filosofia della resurrezione è la continuazione del libro di Sgalambro. Perché se il mio sole scompare, l’unio mistica mi riaccende un impronunciabile sole».
Dopo questa premessa, facendo precedere da una lunga sfilza di citazioni d’appoggio la stoccata finale, padre Corsaro ha calato il fendente che aveva lungamente preparato, mostrando i punti deboli dell’avversario: La morte del sole è un libro che porta alla santità». Il che sarebbe la più grave sconfitta per un filosofo agnostico che ha spietatamente mostrato la putrescenza del corpo. Ma il confronto tra il cattolico e l’agnostico si è concluso senza vincitori né vinti, è stata soltanto una fase, una semplice scaramuccia dell’eterna dialettica che oppone uno all’altro senza poterli mai conciliare.
Sgalambro è stato poi sottoposto a una lunga serie di domande da cui si è divincolato rispondendo alla sua maniera, con aforismi secchi e penetranti. «Per fare filosofa bisogna essere astuti», «Il filosofo è un essere minuscolo che lavora ridendo con elementi incerti, insicuri». C’è stato anche chi ha voluto sapere quali fossero le sue paure particolari, dal momento che nel suo libro ha elevato a strumento conoscitivo il settore cosmico: «lo non sono un eroe. Per me la paura è un elemento rivelatore. Annulla l’immagine tranquillizzante del cosmo per ridare spessore alle cose». Poi, il filosofo del pessimismo, quasi a ridare fiducia nella triste epoca in cui viviamo, lanciava una terribile domanda: «Conoscete un’altra epoca in cui ci sia stata meno ferocia di questa?».
Per poche ore la sala del municipio di Valverde si è trasformata in un brillante cenacolo filosofico. Fuori la vita scorreva con la languida indifferenza della primavera. Dentro ingegni sottili prendevano le misure al cosmo.