Franco Battiato. Secondo me Catania

Franco Battiato

«Mi piace pensare ad uno sportello per la spiritualità»

C’è un certo umore di decadenza ma il fascino di via Etnea è irrefrenabile per me
Gli Anni Novanta momento magico e divertente ma oggi vivo tra i libri di misticismo
Non sono mai andato dietro il fercolo. Il rapporto con il divino non passa da queste cose
S’è persa quell’attenzione all’uomo che chiamiamo umanesimo

Non sai se è più Sir Galahad o Don Chisciotte.
Del primo – uno dei tre cavalieri, con Parsifal e Bors, a cui fu concesso di trovare il Sacro Graal – possiede una vera, vissuta, combattuta tensione alla spiritualità. Del secondo ha assunto, negli ultimi tempi, sempre più la figura allungata di certe illustrazioni con cui, nei secoli, hanno provato a descrivere l’eroe di Cervantes. Esile e inossidabile, la testa lontana dal resto del corpo, quasi a voler prendere le distanze dal terreno.
Ed è un po’ così anche il rapporto tra Franco Battiato e Catania, capoluogo di provincia della sua ex Jonia: alla città della via Etnea lui sembra essere (s)legato come la testa lo è al suo corpo allungato che si muove a passo di volpe. E se el ingenioso hidalgo s’era perduto nei libri di cavalleria, l’ingegnoso Franco è pronto a perdersi nel tatami di pubblicazioni sulla spiritualità che tappezzano il soggiorno-cenacolo, tiepido e accogliente, ma che in realtà abitano gran parte della suggestiva Villa Grazia, a Praino, a un sospiro da Milo.
«Questo spazio per me è indimenticabile e insostituibile, oggi sono davvero poche le città in cui decidere di vivere per sempre. Milano? Per carità! Non vi restai quarant’anni fa, men che meno la sceglierei adesso».
A differenza del Quijote, però, Battiato è un tantino più bravo a distinguere la realtà dalla finzione.
— Questo è l’inverno del nostro malcontento, diceva il gobbo più tremendo della storia. In quale stagione è, oggi, Catania?
«Fosse facile dirlo! Direi che c’è un certo umore di decadenza specialmente come chi la vive tutti i giorni come alcuni amici che mi “raccontano” la città. Per me, però, tutte le volte che mi fermo a Catania è una festa. Le domeniche specialmente. Attraverso il centro storico e ne sono catturato all’istante: il fascino di via Etnea è irrefrenabile».
— Qualcuno dice che proprio nel centro storico, a un passo dai Quattro Canti, lei abbia acquistato immobili che ha poi “regalato” ad amici.
«Non è vero. Mi capita d’essere generoso, sì, ma francamente non ricordo d’aver regalato case».
— Una per sé in città dovette comunque tenerla seppure temporaneamente quando, negli anni ’90, lavoro all’Estate Catanese, ricorda?
«Eccome! Fu un momento magico e persino divertente. Basti pensare che una come Skin degli Skunk Anansie a Roma chiamò a raduno 5000 persone mentre a Catania erano in ventimila. Si lavorava in un clima strepitoso. E gli strascichi ci sono ancora oggi.
— Cioè?
«Molti vorrebbero ripetere l’esperienza».
— E lei?
«No. Ho troppe cose da fare, il mio regno, oggi, è questa veranda in mezzo a libri che parlano di misticismo. Il successo di Attraversando il bardo m’incoraggia a continuare. Se un libro che parla della morte riesce a vendere ventimila copie è segno che il bisogno di spiritualità esiste».
— La politica può attendere insomma?
«Veramente non mi ha mai fatto gola. Ho fatto gola io ai politici, forse. Quando scrissi Povera patria, per esempio, si sentirono tutti coinvolti, s’accesero a destra e a sinistra. E naturalmente sfruttavano la cosa a modo loro».
— È mai stato amico di un politico catanese?
«Amico di un politico… No. Ebbi, una volta, uno scontro con uno di destra: non finì bene ma neanche male. Mi presi la soddisfazione di dirgli che tutte le volte che vado in macchina in aeroporto, e ci vado spesso, m’imbatto in transenne di “lavoratori” dietro a cui non vedo neanche un impiegato. Glielo dissi davanti a centinaia di persone che presero a spernacchiarlo».
— E lui?
«Sa cosa mi rispose? “Però abbiamo un buon ospedale”. Ma si può?».
— Avrebbe mai potuto dire che il comune di Catania s’è mangiato tutto?
«Nient’affatto. A parte il fatto che a Catania sarebbe uno scandalo soltanto dirlo, le ripercussioni di un’affermazione del genere, qui, sarebbero enormi e devastanti. Alla Regione Siciliana, in compenso, tra scandali e sbarramenti, non c’è vergogna che possa scoraggiarli».
— Inventerebbe un ruolo in amministrazione comunale per sé o magari per altri?
«Poiché seguo l’onda dello spirito che esiste già ed ha una sua collocazione nello spazio e poiché esiste un pubblico con cui condividere queste affinità elettive, mi piace pensare ad uno “sportello per la spiritualità”.
— Proviamo a “sfruculiare” la storia di Catania in un pugno di sue canzoni. Shock in my town, per esempio…
«Beh quello era un prodotto puramente musicale, più del testo fu il ritmo vocale a prendermi».
— E anche nel nostro caso il testo è pretesto. Che è come dire: c’è stata qualcosa a scioccarla, a Catania?
«Nulla che io ricordi».
— Lei dice spesso che seguire la propria natura non è sempre giusto. Qual è la natura di Catania?
«Personalmente ne rimpiango la natura galante, quando in via Etnea passavano camionette cariche di gelsomini che dispensavano profumi, i negozi erano autentiche botteghe di stile e i catanesi passeggiavano a braccetto con ragazze olandesi».
— E la natura catanese che non bisogna assecondare?
«La delinquenza. Soprattutto perché molti la concepiscono come postura “culturale”, una mossa d’astuzia per deviare a proprio favore una realtà che non fa comodo. C’era ieri, c’è oggi, ci sarà domani: per alcuni diventa un “must” per dimostrare intelligenza».
— E la tifoseria da stadio? Le masse incontrollate? Paura o tristezza?
«Né l’una né l’altra, trovo piuttosto che, se una squadra è più forte dell’altra, fare il tifo per lei sia quasi un dovere».
— E, giusto per non andar via dalla pazza folla, la festa di Sant’Agata?
«Se sono andato dietro il fercolo dice? Mai. Ho altre idee sulla spiritualità. Il rapporto tra te e il divino, ammesso che uno abbia queste possibilità, non passa certo attraverso robe come queste, sennò è finita».
— Torniamo alle canzoni. Niente è come sembra. In che cosa Catania riesce a ingannare?
«Catania o i catanesi?».
— Faccia lei.
«La fauna dei catanesi è fin troppo variegata. Ne ho conosciuto alcuni che volevano apparire senza essere ma tanti che non sembravano di vero, grandissimo talento: lo erano sul serio».
— Si scrive talento e si legge Manlio Sgalambro?
«Lui era certamente il massimo ma io penso ai letterati catanesi. Tutti o quasi. Sono fortissimi.»
— Per esempio?
«Mineo. Il prof. Nicolò Mineo».
— E un altro “cavaliere dell’intelletto”?
«Il primo che mi viene in mente è Di Grado. Il punto è che, una volta, c’erano incontri letterari che ne svelavano tanti e in tempo reale per conoscerli e riconoscerli. Oggi, ahimè, sono andati via anche quelli».
— Ancora canzoni. La cura. Ha una “terapia” per Catania? O è tanto benevolo da non vederla ammalata?
«Non sono troppo benevolo, sa! Quando in una realtà cittadina ci sono “buchi” finanziari e non solo, è la rovina. Ma io non conosco abbastanza chi fa franare la città, resto fuori dai giochi. Secondo me s’è persa quell’attenzione all’uomo che chiamiamo umanesimo: coloro che godono di privilegi non godono però nel condividerli con gli altri».
— Insomma lei non canterebbe mai a Catania: “Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”?
«Sì, per le bellezze architettoniche».
— E i catanesi? Non hanno niente di speciale?
«Perché no. Anche quelli che chiamiamo fuorilegge sono intellettualmente dotatissimi».
— E i musicisti? Catania non ne è a corto, anzi. E sono bravi per giunta. Ha mai pensato ad una “scuola Battiato” in risposta (o no) a quella di Mogol?
«Credo che i nostri musicisti siano fin troppo talentuosi per aver bisogno di “scuole”. Da Venuti a Incudine passando per Carmen Consoli non hanno bisogno d’essere irregimentati. Li ho ascoltati quasi tutti, ai loro esordi, dicendo loro semplicemente “Mi piace”, “Non mi piace”, dare consigli o indicazioni non avrebbe avuto senso. Ma io comunque non ho inclinazione per l’insegnamento, a me basta incontrare i giovani in teatro e magari discutere Attraversando il bardo. Questo per me è insegnare.
— A proposito di teatro, Catania ha ed è il Massimo. Un nuovo pezzo musicale del “battiatopensiero” per il Teatro Bellini?
«Mi piacerebbe proporre la mia opera su Bernardino Telesio [musiche di Battiato, libretto di Sgalambro, presentata nel 2011, n.d.r.] rappresentata per ologrammi senza presenze fisiche in scena salvo musicisti e direttore d’orchestra. Non l’ha mai fatto nessuno finora e, al momento, l’hanno fatta al Rendano di Cosenza che l’aveva commissionata».
— Ha fatto un film su Beethoven e ne prepara uno su Händel. Un film su Vincenzo Bellini?
«Mmm… L’Ottocento mi piace e non mi piace. Mi sento più vicino al 1700 e, ad essere sincero, ancora di più al 1600 e al 1500».
— Le piacciono gli “anomali” come papa Francesco. Ha mai avuto a che fare direttamente con uomini di chiesa di Catania?
«Certo».
— E come sono?
«Così così».
— Niente è come sembra?
«Ho parlato spesso con i padri rogazionisti, uno di loro mi massacrò di lettere e m’invitò a fargli visita. Ogni volta che mi trovo con loro, uso la stessa “tecnica” e parto con la stessa domanda: “Lei sa che Cristo credeva nella reincarnazione?”. Silenzio. Poi rispondono: “Sì”. E perché non lo dite allora? “Sono cose delicate!”».
— Più che la fede poté l’ironia catanese. E Dio salvi i suoi comici, no?
«Ah, sì, sono strepitosi! Tuccio Musumeci, poi, è insuperabile. Una volta prendemmo un premio insieme e, mentre saliva sul palco un altro premiato, lui mi prese in disparte e mi disse: “U viri a chiddu? È na cutra ca ni lassàu Tony Cucchiara”».
— Un recital al fulmicotone insieme, allegro ma non troppo?
«Eh, no. Mi piace ridere ma non mi piace far ridere».


Inclassificabile. Un «proletario dello spirito» autore di canzoni cult

Cantautore, compositore, regista, pittore, Franco Battiato – siciliano di Jonia, così nel 1945 si chiamavano ancora Giarre e Riposto, dagli anni ’70 ad oggi, è artista di deflagrante originalità, tra underground e culture esoteriche: si dice semplice “proletario dello spirito” ed è allievo virtuale e studioso del mistico armeno Gurdjieff. Musicalmente inclassificabile, le ha viste e suonate tutte, dalla sperimentazione al pop, dall’avanguardia alla musica etnica passando per il “progressive rock” e l’opera in musica. Ma ha soprattutto creato canzoni ormai “cult” come Centro di gravità permanente, Bandiera bianca, Prospettiva Nevskij, Povera patria, La cura. Mentore autorevole e discreto (Alice, Giuni Russo), non ha mai smesso di credere nella poetica di squadra. Il filosofo Manlio Sgalambro ed il violinista Giusto Pio suoi costanti sodali artistici ma anche Dalla, De Gregori, Celentano, Fossati.


Carmelita Celi, Franco Battiato. Secondo me Catania in “La Sicilia”, 10 gennaio 2106

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