Franco Battiato e Manlio Sgalambro: “La cura”

Correrò il rischio. Oggi, in morte di un filosofo che è giunto alla fama (diciamolo sinceramente) scrivendo canzoni per un conterraneo, bisognerà fare qualcosa di speciale; ma farlo senza nessun tipo d’incenso (che del resto quel filosofo, Manlio Sgalambro, avrebbe probabilmente detestato). Nel breve commento inserito prima per dare notizia della sua morte, avevo nominato questa canzone; e come non farlo. Si può dire che è nata già famosa; tre minuti dopo che è uscita ha suscitato epidemie di brividi. È stata costruita, del resto, per questo; poiché, lo confesso senza reticenze, quei brividi li ho provati anch’io. E, quindi, correrò il rischio di essere odiato da chi i brividi li continua tuttora a provare, ora che questa canzone è diventata senz’altro una delle cinque o sei più celebri in lingua italiana, in compagnia di Volare e Caruso, per intenderci. Una costruzione praticamente perfetta. Non c’è nulla di sbagliato, come non c’è nulla di vero in quel che vi si dice; e qui risiede probabilmente tutta la sua vera forza. Si prenda ad esempio il rinomato verso: “Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono”. Le leggi del mondo? E quali sarebbero, le leggi del mondo? Sarà fatto dono delle leggi della fisica, visto che che ci sono pure le “correnti gravitazionali” (a loro volta, che accidenti sono)? Eh, la costruzione del brivido è passata anche di là, in un intreccio (invero molto sapiente) di belle parole ed eufoniche (“correnti” assieme a “gravitazionali” ci sta parecchio bene!); e si può immaginare dono più elevato delle “leggi del mondo”, figurandosi magari due amanti che si scambiano (ma perché no, in fondo) gli Elementi di Euclide, i Philosophiæ naturalis principia mathematica di Newton o l’Etica di Spinoza? Ma si avrebbe un bel dire, e un bel continuare a dire; e così vai alla ricerca di uno qualsiasi dei quindicimila video de La cura sul Tubo, e ti diverti a leggere sdilinquimenti di ogni genere in tutte le lingue, dichiarazioni assolutamente assolute (tipo: “È la più bella canzone d’amore della storia”), amori eterni, primi incontri sulla spiaggia assolata al tramonto, e così via. In mezzo, magari, a intere storie (più o meno condensate) della propria vita, accenni a tragedie autentiche e a gioie passate e presenti, di tutto. Ecco, appunto, la potenza di una canzone, la sua potenza allo stato puro. “Toccare le corde”, come si dice. Poi, certo, ci saranno tanti e tanti a cui non ha toccato un bel niente; ne conosco non pochi, che detestano questa canzone e i suoi autori. Io stesso, e mi punge vaghezza di ribadirlo, ho verso Franco Battiato un rapporto di odi et amo che non accenna a cambiare col tempo, perché mi rendo maledettamente conto di tutte le “operazioni” che ha combinato fin da quando andava in giro a suonare con gli strumenti elettronici sistemati sulle cassette della frutta, operazioni terribilmente riuscite – a volte – anche col sottoscritto. Da quando, poi, ci s’è messo di mezzo pure er filòsofo nichilista, non c’è stato scampo. Vabbè, è chiaro che sto sproloquiando di fronte a un cadavere ancor caldo, e che Manlio Sgalambro riposi veramente in pace. Nulla mi ha fatto di male, va detto; c’è di mezzo anche un’antipatia tanto naturale quanto inspiegabile che ho verso certe figure, a prescindere dal loro pensiero. Poi succede che faccio partire il clic de La cura, chiudo gli occhi e vedo, e penso, e ricordo certe cose; nell’intelaiatura di questa canzone, c’è pure il concetto – strappacore, strappalacrime, strappatutto – della guarigione, la “cura” appunto. Che cosa potrebbe (com)muovere maggiormente? Impossibile. Proprio oggi ho incontrato una persona conosciuta, che ha seriamente la sua giovane compagna (35 anni) gravemente ammalata, per di più in seguito ad un’operazione sbagliata alla tiroide. Ho visto il dolore, ho visto la consunzione di questa persona; sono bastati dieci minuti in un posto strano, mentre lui telefonava e io mangiavo un pezzo di polenta col formaggio. Ecco, posso capire che cosa proverebbe quella persona ascoltando questa canzone. La quale, ovviamente, crea illusioni. Crea finzione luminosa: “ti guarirò da tutte le malattie”. Addirittura una funzione taumaturgica, oltre che terapica. E, del resto, ora che ci penso quei due, Battiato e Sgalambro, agirono su di me proprio mentre me ne stavo in ospedale; tout se tient. Volle così il caso; mettiamo che avessi acceso quel famoso televisore, in quella notte, e mi fosse comparso Mino Reitano che cantava “Bronzi di Riace, bronzi della pace” (introvabile!), o invece del capitano Shackleton mi fossi ritrovato davanti al capitano Cocciolone (qualcuno se ne ricorda?). Casi, puri casi. E così proprio io, forse, oggi pago una specie di debito mettendo questa canzone nel sito; vedendo quel che è successo sulla pagina di Stranizza d’amuri (che per me, comunque, nella sua semplicità è canzone di ben altro spessore e di ben altra sincerità, senza “sgalambramenti” e senza “leggi del mondo”), posso ipotizzare che anche questa si riempirà, prima o poi, di commenti innamoratissimi, di “quori”, di santificazioni, di ricordi, di ogni cosa. E va bene, perché mi sono accorto con l’andar del tempo che la rinuncia programmatica alla comprensione e il disprezzo degli altri spanto a piene mani, quasi fosse uno stupido “marchio di fabbrica”, producono non odio (io non rifiuto affatto l’odio, e arrivo a considerarlo a volte nobile quanto l’amore), ma ridicolo. E con questo, un benvenuto alla “Cura” in questo sito proprio nel giorno della morte dell’autore delle sue falsissime parole. E ci sarebbe, a questo punto, da ragionare sulla potenza enorme della falsità, che altri chiama illusione. Talmente potente da essere confusa inestricabilmente con la “verità”; si pensi soltanto a quante “verità rivoluzionarie” si sono dimostrate sarabande di falsità. Ci potrà stare quindi anche una canzone d’amore, comunque la si veda, comunque la si ami, comunque la si detesti, comunque la si percepisca (forse fintamente) indifferente. Può darsi, chissà, che sia stata dedicata a qualche essere umano poi ammazzato senza pietà proprio in nome dell’“amore”; può darsi, chissà, che sia stata dedicata a qualche essere, umano o animale che sia, amato per davvero. E che, ovviamente, non è guarito per nulla dalla sua malattia; ma si lamenta una grossa penuria di canzoni dedicate alla scienza medica, e bisognerà farsene una ragione. O, forse, ci ha pensato Caparezza, in una canzone intitolata poeticamente Sono troppo stitico: “Ti solleverò dalle paure e dall’ipocondria / imbottendoti di psicofarmaci”. Salud, Sgalambro. Settantadue gradi di latitudine est? … ma come cavolo ti era venuta?!?!


Riccardo Venturi, Franco Battiato e Manlio Sgalambro: “La cura” in “Canzoni contro la guerra”, 6 marzo 2014 – Collegamento esterno

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