Se Nietzsche incontra Armstrong

Il testo che pubblichiamo sarà letto stasera da Manlio Sgalambro alla “Milanesiana” ed è tratto da De mundo pessimo (Adelphi, pagg. 269, euro 13) da oggi in libreria.

Come ha agito su un’anima filosofica? Come ha potuto agire così a fondo il suo swing su uno che amava solo i concetti? Io sono filosofo per natura, cioè mi sono mosso in filosofia come un sonnambulo, non ho badato a dove mettevo i piedi, eppure camminavo svelto. O vecchio caro Louis, quando ti univo a Hegel… quando leggevo brani della Scienza della logica con una voce che proveniva dalle viscere della terra come la tua… Sein, Nichts, werden… La tua era la tromba del giudizio e quella degli angeli assieme, e trapassavi la dura scorza dei giorni più infausti come leggera saetta… O vecchio Louis… Quando leggevo l’Ethica e sentivo la lead della tua tromba come una guida degli smarriti… Quale poteva essere la melodia in questo spartito per spiriti rari che aveva scritto Spinoza, questo vecchio molitore di vetri? Dopo Caruso viene Armstrong. Era questa la mia genealogia… La tromba di Armstrong aveva carpito i segreti della voce di Caruso… Io vi mescolavo i libri di quella disciplina che mi andava per il cuore, e i sussulti della mia mente somigliavano ai suoi scatti. Suonavo anch’io, insomma. Mi intromettevo nella band, ospite segreto, con pezzi di Kant e di Schopenhauer. Suonavamo assieme la gioia di vivere in un mondo disperato. E la musica si fece tromba… Posso dirlo. Vissi questa «incarnazione» come uno che non crede ai fantasmi, nemmeno al fantasma della musica. La musica si deve sempre incarnare e l’«uomo» è il suo migliore strumento… Dunque, dicevo tra me e me, che cosa avrebbe pensato Nietzsche di Louis? Che cosa c’era di più bello in quell’uomo dei suoi entusiasmi? Che cosa fu Wagner per Nietzsche se non un entusiasmo? Il canto scat di Armstrong, le sillabe senza senso, non lo avrebbero preso per i capelli? Nietzsche avrebbe ascoltato Heebie Jeebies come il coro delle Valchirie? Quando Hegel teneva le sue lezioni, la sua voce cavernosa usciva come se egli la strappasse con le mani, gorgogliava, gracchiava, eppure era lo Spirito del mondo che parlava. Lui lo aveva visto come Napoleone a cavallo per le strade di Jena. Io immaginavo lo Spirito della musica al Cotton Club assieme a Lucille Wilson. Padre mancato della musica dionisiaca, Nietzsche è invece padre o parente stretto ­ della musica leggera. I suoi Lieder, bolsi e «borghesi», non lo farebbero sospettare. Ma il suo scritto Nietzsche contra Wagner è la spartito in cui scorrono suoni promettenti, anche se muti. Nietzsche padre della musica leggera. Se è così, questa ha un padre terribile. Attraverso Louis io sentivo invece i suoni di Dioniso. La voce, grido prolungato dove si esprime l’urlo di raccapriccio del primo uomo, riacquistava la sua valenza. La non­voce di Armstrong, come fu definita, faceva terra bruciata attorno a sé. A Hugo Wolf, in manicomio, si sentì dire: «Musica schifosa!». Che parole d’amore nella sua bocca di pazzo. Voglio dire, non che Louis avesse potuto mai dire qualcosa di simile, ma lui suonava in un mondo schifoso, e faceva musica per vermi. Ricordo il Doktor Faustus ­ non so come entri in questa storia. Quando Adrian esclama ­e lo stupito amico Serenus Zeitblom riporta fedelmente (è il capitolo 45)­ «Non dev’essere… Viene ritirato… Io lo voglio ritirare», si sta parlando dell’Inno alla gioia. Ma in realtà, è tutta la musica «nobile e alta» che dev’essere ritirata. Che ora strisci per terra e si contorca. È l’ora della musica per vermi, mi dicevo con esaltazione. La musica per dopo. Mi sembrava che quella tromba levasse alto il suo furore. Lessi dopo anni il parere di uno: «Suona come se non ci fosse futuro» diceva pressappoco. «In nessun dove, cara, ci sarà mai mondo se non in noi»: mi era vicina allora la settima delle Elegie duinesi. E mi sembrava che questo «mondo in noi» fosse tutto quello che la musica poteva dare, mentre il mondo fuori di noi ci opprimeva. Sfogliavo pazzamente libri di logica, di etica e di metafisica mischiati a Heebie Jeebies. Oggi, «master and commiserable man», semplicemente ricordo. Ma proseguo, Louis. Erano cavalli che mi galoppavano addosso o corride di note sbalzate nel nobile metallo della tua tromba, o da quella misera trombetta di latta che avesti, dicono, bambino. Quando ascoltai West End Blues ero già uomo maturo. L’illusione della musica mi aveva da tempo abbandonato. Indovinai poi il disprezzo per la musica sulle labbra sottili di Schönberg, che non ne poteva più. S’è chiamata «musica nuova» ciò che la distruggeva di sana pianta. «Noiosa e priva di creatività» la definì un critico dopo l’ascolto. Che crei pure Dio, avrei risposto, ma lasciate in pace l’artista. Il grande Schönberg sapeva che la musica si distrugge con la musica, non con la critica. Ed egli, appunto, voleva distruggerla. Che gli importa se il clarinettista esegue Der Mondfleck in la anziché in si bemolle. Come Louis, che non suonava per il futuro. Come gli amici di Louis, per cui Strawinskij era il nome del pizzicagnolo sotto casa. I suoni scoppiettano allegri e riscaldano anima e corpo, questo so di Louis. E metterei certe sue canzoni in un trattato di etica, dandone i titoli ai capitoli. Questo so di Louis.


Manlio Sgalambro, Se Nietzsche incontra Armstrong in “la Repubblica”, 6 luglio 2004 – Collegamento esterno

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